Parco del Pollino – Le Serre di Crispo e delle Ciavole. Il Giadino degli Dei!


Nacque molto più di un anno fa, dalla passione che Marco aveva per le montagne dell’Appennino calabro-lucano (con i suoi natali beneventani è il più “meridionale” di Aria Sottile), da quel gioco semiserio di collezionare i 2000 dell’Appennino che ormai non ci lascia più e dalla primordiale curiosità che chi ama andar per montagne ha per i nuovi territori, il desiderio di conoscere finalmente il selvaggio parco del Pollino e le sue 10 vette sopra la fatidica quota. A lungo meditato e programmato, nel Luglio del 2012, Marco mantiene la promessa; dal lontano Sud Africa dove si è trasferito per la sua prima importante esperienza lavorativa organizza e pianifica la spedizione verso il Pollino; nella sua fantasia si sarebbero dovute toccare tutte le 10 vette del parco con questa unica escursione. Lui che già le conosceva voleva riservarci la gioia delle Serre di Crispo e delle Ciavole , del Giardino degli Dei, come atto ultimo di quella estenuante ma esaltante cavalcata, su e giù per le creste e le profonde selle della catena ovest del gruppo montuoso. Non ci riuscì! Un territorio ancora e per fortuna primordiale, quasi privo di sentieri che per molti tratti ci ha costretto ad improbabili ed estenuanti corpo a corpo con il fitto del bosco, le profonde selle che ci hanno consumato nei sali-scendi infiniti e la lunghezza della dorsale ovest ci hanno fatto ritardare non poco il già incerto ruolino di marcia. Il resto lo ha fatto la selvaggia bellezza dei luoghi che tutto contribuiva a fare tranne che accelerare nell’effimera ricerca delle vette. E le due Serre, quella di Crispo e quella delle Ciavole le abbiamo ammirate da lontano, affascinati da quei profili scheletrici e bizzarri dei Pini Loricati che si stagliavano verso il cielo. Consapevoli di perdere qualcosa ma certi che quell’ultima parte del parco avesse meritato una visita più consapevole e meditativa, mentre volgevamo le spalle al nostro desiderio tanto vagheggiato e solennizzato da Marco, si costruiva già l’idea del ritorno, che doveva avvenire il prima possibile, magari nella stagione invernale, quando la lirica della coltre bianca avrebbe di certo cresciuto la solennità del Giardino degli Dei. E l’attesa si è consumata lentamente, prima nella stagione di mezzo, poi in quella invernale nell’attesa del rientro di Marco, e poi quando la definitiva sua rinuncia a causa di un improvviso trasferimento di lavoro ci ha regalato la benedizione a continuare l’avventura in due, nell’attesa di una finestra di bel tempo in questa improbabile piovosissima primavera. Una prima rinuncia e poi il “la va o la spacca”, e tra una perturbazione e l’altra la fuga verso il sud. Una giornata rubata al lavoro, un trasferimento “veloce” rallentato dagli eterni lavori autostradali in prossimità dell’uscita di Lauria, un comodo pernotto in quel bellissimo rigugio-albergo del Fasanelli, stupenda quanto ancora praticamente unica struttura in quota all’interno del Parco del Pollino. Io e Giorgio ormai ci credevamo, si stava per concretizzare l’antico progetto di completare il giro sui 2000 del Pollino ed un tramonto stupendo con la conseguente sfolgorante stellata erano il segno premonitore che attendevamo segretamente nella nostra speranzosa fantasia. Venerdì 12 Aprile, sveglia alle 6, anche una comoda sveglia per le nostre abitudini, una ricca colazione col custode del rifugio già sveglio ad onorare la proverbiale ospitalità del Sud, e in una ventina di minuti eravamo pronti. La strada che sale da Rotonda, il principale centro della zona e sede del parco, continua oltre il rifugio, prima sgombra e poi carica di acqua quasi fosse un torrente di fusione. Intorno ai 1300 metri la neve è ancora tanta e forma dei muri inattesi al bordo della strada; il bosco di faggi è ancora spoglio e tutto parla di inverno tranne la temperatura quasi mite che favorisce un rigoglioso scioglimento della neve. Dopo una serie di tornanti raggiungiamo il Piano Ruggio un pianoro dal sapore alpino proprio sotto la tonda mole della Serra del Prete. L’entusiasmo si impossessava di noi, eravamo di nuovo lì, lo scorso anno siamo arrivati dall’altro versante, ed era come ritornare in un luogo familiare; volevamo esattamente ciò che stava succedendo. Ci infiliamo nella stretta stradina, libera dalla neve quel tanto che basta per una sola auto, se se ne fosse incontrata una in senso contrario si sarebbe dovuta giocare a pari e dispari la retromarcia, e raggiungiamo i 1560 metri del Colle dell’Impiso, di nuovo la nostra porta di ingresso al parco del Pollino. Sono le 7 quando, ciaspole legate agli zaini, prendiamo per le nostre mete seguendo l’ampia carrareccia ancora parzialmente invasa da neve. Una splendida e tiepida giornata che lascia intravedere un cielo libero di nuvole e, a meno di spiacevoli sorprese, un grande successo. Dopo la prima doppia svolta che lascia alle spalle il sentiero per la crestina boscosa che sale alla Serra Del Prete si riprende subito a scendere verso il Piano di Vacquarro che solcato dal torrente Frido si inizia già ad intravedere in lontananza. La luce è ancora quella del primo mattino, tra i contorni del bosco, laggiù sul fondo dell’orizzonte, tra le linee ancora scure, lontano, ma ce ne accorgeremo solo al ritorno, spicca la sagoma di una delle due nostre mete, la Serra delle Ciavole. Il sentiero continua a scendere, ora colmo di neve ben assestata che non rallenta la marcia; per lunghi tratti rettilineo si adagia nel piano intriso di acqua che è puntellato da Crocus orfani della neve che un po’ più su, al limitare del bosco ritorna ad impadronirsi dell’ambiente; la luce è ancora pallida, priva dei caldi raggi solari, la bruma del mattino impregna il manto erboso ed i rami dei faggi; il bosco tutto attorno è una scura macchia indefinita mentre il torrente scorre pigramente e rumoreggia appena. Provate ad immaginare come si possa rimanere stupiti dalla semplicità di tanto immenso! Lasciamo il piano del Vacquarro e ci facciamo fare strada dal letto del torrente che ora con maggiore pendenza riprende a scorrere rumoroso; le sue acque sono scure col tipico colore grigio delle acque di fusione. Contornare il torrente è ancora l’unico modo per essere liberi dalla neve, che evitiamo fino alla successiva e suggestiva radura di Rummo dove il paesaggio si fa fiabesco col torrente che serpeggia e torna placido e fa da specchio alla bianca sagoma del Pollino, ormai posto a faro del nostro girovagare. Guadiamo il torrente lasciandoci incantare dalla sagoma del cappuccio innevato del Pollino riflessa nelle sue acque ed attraversiamo il piccolo pianoro; ricordiamo che il sentiero, la strada sterrata sarebbe meglio dire, a quel punto vira a destra per immergersi, dopo un pio di curvoni, verso il Colle Gaudolino e poi di traverso nel bosco, dirigersi quasi rettilineo verso il Piano Toscano e successivamente verso la Piana del Pollino, vero cuore del parco, dove lo sguardo può raggiungere tutte le vette più importanti. Ci facciamo fermare da un sentiero diventato ormai ruscello per lo scioglimento repentino della neve e per la melma di cui ormai è esclusivamente formato e riflettiamo sul caso di inoltrarci ancora all’interno del bosco, senza un sentiero, seguendo semplicemente la sensazione che si fa forte e che ci convince che avremmo abbreviato il percorso. In realtà credo che sia in me che in Giorgio sia prevalsa la voglia di addentrarsi in un territorio quasi sconosciuto, certi che la presenza maestosa del Pollino ci sarebbe servita da punto di riferimento per non perdere la direzione. Mai scelta è stata presa più frettolosamente e mai è stata più efficace per rendere la giornata davvero unica. Guadi continui di ruscelli di scolo, un bosco di faggi spogli e radi dove il sole filtrava creando magie di luce e dove il copioso manto nevoso lasciava qua e la spazio ad isole erbose impregnate fino all’inverosimile d’acqua; e laghetti di fusione, ora minuscoli ora sufficientemente ampi da farci riflettere l’intera sagoma del Pollino sempre incombente. Un delirio per la nostra passione per le fotografie; in questo con Giorgio non ci siamo di certo limitati, magari fosse stato che uno dei due si fosse ritratto da tante tentazioni, il nostro incedere sarebbe stato di certo più veloce. Girovaghiamo lenti nel bosco scegliendo le traiettorie dettate dall’istinto e da quella minima ma efficace conoscenza del territorio, ora condizionati da guadi impossibili ora da pendenze troppo accentuate. Giorgio mira a proseguire in direzione del piano del Pollino, ci sono da superare forti avvallamenti, io tendo a virare intorno al promontorio roccioso che abbiamo sulla sinistra, la Timpa del Cannocchiello e a puntare verso est dove sono convinto saremmo andati incontro direttamente alle nostre due Serre; siamo combattuti, tiriamo fuori svariate volte la carta e poi ci convinciamo di proseguire verso est, forse gratificati da pendenze meno decise. Proseguiamo sempre lenti, meravigliandoci ad ogni passo, continuano i guadi e dove non sono guadi sono ponti sospesi dove netto e forte è il rumore dell’acqua che scorre poco sotto. Ad ogni crinale abbiamo l’illusione di scorgere le sagome dei Pini Loricati e delle nostre due Serre ma ad ogni crinale ne segue un altro e poi un altro ancora. Più saliamo e più la neve si fa molle ma anche il bosco si fa fitto tanto da non rendere utilizzabili le ciaspole; continuiamo a ravanare nella neve, ogni tanto affondiamo fino alle ginocchia e poi tra le verticalità dei faggi spogli in una linea che taglia il cielo ci pare di scorgere una cresta orizzontale. Questa volta non è illusione, l’illusione è solo quella di avere la Serra di Crispo a portata di mano, cosa che invece non sarà proprio, ma tanto basta a sollevarci di morale e farci dimenticare gli ultimi istanti di fatica e a farci esultare compiaciuti per la nostra capacità di districarci in territori poco conosciuti. Riusciamo ad uscire finalmente dal bosco, proprio sotto la Serra di Crispo; un ampio e luminosissimo pianoro dove in una minuscola radura lasciata libera dal manto nevoso ci accampiamo per una sosta mangereccia e per riempirci finalmente di un panorama che tutto intorno ci sta circondando di vette. Che emozione è stata osservare dall’esterno la lunghissima cresta percorsa poco meno di un anno prima! E che emozione avere le montagne dei desideri dell’ultimo anno li davanti! Erano bellissime. Una sagoma rocciosa e scura in controluce che separava il biancore del pianoro dall’azzurro profondo del cielo, con quelle solitarie meraviglie dei Pini Loricati che erano disseminati lungo tutto il versante ad assumere le forme più contorte ed affascinanti. Non potevamo crederci, eravamo esattamente nel luogo che per un anno avevamo vagheggiato; mancava solo chi aveva creato tutto ciò, chi aveva dato il la a tutto questo progetto, Marco. Quindici minuti di sosta, più impegnati a fare foto che a mangiare e bere e ripartiamo; scegliamo una linea più libera di neve, trasversale sotto la più bassa delle quattro vette che dovremmo toccare, la Serretta della Porticella; quasi sfioriamo la vetta mentre ci infiliamo nella sella dove troviamo ad accoglierci quattro fusti antichi di Pino Loricato. E’ il primo contatto con questa specie; le radici sono scoperte ed abbarbicate al terreno, somigliano a serpenti che hanno la testa nascosta e che sono aggrovigliati tra loro; ciò che rimane degli alberi sono dei monconi tagliati di netto, privi di corteccia, pallidi , quasi bianchi come fantasmi. Li infiliamo tutti e quattro nelle nostre fotografie; impressionante il primo contatto con questi alberi. Raggiungiamo la cresta, quasi mi inoltro in una cornice inaspettata che si proietta nel vuoto del versante opposto; oltre sullo sfondo dell’orizzonte la sorpresa di intravedere lo Ionio. La Serra di Crispo è alla nostra sinistra, meno di cento metri di dislivello, molta neve accumulata in cresta che ci fa penare nel cercare deviazioni alla linea più efficace e finalmente loro, i Pini Loricati, tanti, bellissimi, ora sparpagliati a formare la skyline delle creste, ora raggruppati in piccoli boschi in miniatura. Ci passiamo sotto, li tocchiamo, ci sembra di essere dei privilegiati, soli in un tempio della natura. Sono esemplari stupendi, a nulla serve leggere, studiare e farseli raccontare; sono impressionanti nella loro austera bellezza. Gli aghi di un verde scuro che contrasta tra il blu del cielo e il biancore della neve sottostante, la corteccia rugosa, squamata, a ricordare la pelle di un serpente e le forme, le forme sono contorte, nei più antichi fino all’impossibilità della sopravvivenza! Io mi dimentico quasi di Giorgio, credo lui abbia provato la stessa cosa con me; in questi primi istanti si è rapiti dal contatto con questa specie vegetale che ha fatto famoso questo spicchio di Appennino. Il Pino Loricato è un albero raro in Italia, dove è presente nel solo parco del Pollino, ed in generale nel mondo, dove viene trovato solamente nell’area balcanica fino alla Grecia settentrionale, l’ultimo avanposto è il Monte Olimpo; il nome , “loricato” lo si deve alla corteccia che negli esemplari ultra centenari ricorda la corazza dei guerrieri romani chiamata appunto “lorica”. Raggiungiamo la vetta della Serra di Crispo lentamente, persi nel cercare di catturare più immagini suggestive possibili; ci rendiamo conto che il GPS ci sbatte in faccia la nostra estrema lentezza, sono quasi le undici del mattino, ci viene da ridere quando ci accorgiamo che solo la metà delle quattro ore di cammino le abbiamo vissute effettivamente muovendoci, le altre a fare foto e a rimirare il paesaggio! Forse abbiamo esagerato nello scattare fotografie. Ma chi se ne frega; chissà se ci capiterà ancora di vivere questa meravigliosa sequenza di momenti perfetti! Ripercorriamo indietro lo stesso versante, tagliamo la sella piena di cornici dalla parte opposta rispetto al percorso dell’andata ed in meno di trenta minuti siamo sulla Serretta della Porticella, un 2000 preciso che spacca il centimetro, ma ormai più nulla importa della collezione delle vette. Siamo sulla soglia del Giardino degli Dei, qualcuno l’ha chiamata la cresta dei Pini danzanti. La più bassa delle quattro vette di questo versante è la più entusiasmante; un giardino autentico, isolato, perso nel silenzio delle vastità dove solo loro, i Pini, sono i protagonisti. Tutta la cresta ne è piena, ora giovani e rigogliosi, ora secolari e contorti ma sempre vigorosi e vien da dire maestosamente orgogliosi della loro tenacia, ora dignitosamente spenti e ridotti a solo a bianca essenza legnosa, contorta, scavata, striata e levigata; pure sempre maestosi. Ognuno dei tanti, tutti, nel pieno della forza o spenti nella lotta contro le intemperie, sono comunque monumenti . E tutti emozionano. Vien da pensare quali venti abbiano dovuto fronteggiare, quali forze impetuose abbiano dovuto contrastare e, alla fine come una singola specie vegetale sia capace di dettare tanto rispetto e stupore. Le montagne dove ci troviamo sono aride, pietrose; i Pini Loricati con le loro radici potenti e contorte ci si aggrappano con una potenza esplosiva; il contrasto è forte, lo spettacolo non smette di meravigliare, è continuo, ad ogni passo si rinnova lo stupore. E’ di più, molto di più di quanto Marco ci abbia raccontato, di quanto si abbia letto e visto. La cresta della Serretta scende lenta fino alla Grande Porta del Pollino, la grande sella che divide la Serra di Crispo da quella delle Ciavole. L’attraversiamo velocemente attratti dal versante della seconda Serra ma accusiamo stanchezza, ci rendiamo conto che le meraviglie naturali appena vissute ci hanno distratto; al sole che picchia e ai chilometri che ora si stanno accumulando nulla importa del trionfo della natura che abbiamo intorno. Ci fissiamo la sosta in alto e riprendiamo a salire, lenti ma costantemente. Superiamo con disinvoltura quello che da sotto sembra essere un ripido pendio, il versante è pieno di rocce a gradoni, salire è agevole. Sotto l’anticima della Serra delle Ciavole, all’ombra di maestosi Pini sostiamo per mangiare e ci lasciamo andare ai primi commenti, tutti improntati alla meraviglia per quanto appena vissuto. Il Giardino degli Dei è alle nostre spalle, oltre la Grande Porta, maestoso, romantico, poetico, anche da lontano. La Serra delle Ciavole è meno ricca di Pini Loricati ma non per questo è meno bella; la potrei definire il cimitero dei Pini tanti sono quelli divelti, contorti, scortecciati, morti; bianche sagome levigate che somigliano più ad opere scultoree che a specie vegetali o ciò che ne rimane. La solennità è ancora più accentuata, è esplosiva quasi a voler determinare l’assoluta immortalità degli alberi. Girovaghiamo tra questi monumenti naturali fino a raggiungere la punta più alta di questo versante del parco, i 2130 metri della Serra delle Ciavole. Da questo balcone naturale verso i Piani del Pollino e la cresta opposta a quella dove ci troviamo la vista spazia a 360 gradi. Dal Valico del Colle dell’Impiso il susseguirsi delle linee e delle cime della dorsale ovest è tutta là di fronte;la cresta che sale alla Serra del Prete, poi giù nella profonda sella del Piano Gaudolino e di nuovo su verso la cima del Pollino, e poi il susseguirsi di vette più o meno marcate,la Serra Dolcedorme, la vetta più alta del gruppo e l’ultima , quella che si perde nei promontori più a Sud, la sconosciuta Timpa di Pino Michele. La panoramica che ho scattato spero renda merito allo splendore del territorio, memoria all’impresa di quasi un anno prima e possa tornare utile ai propositi di Luca che intende sbarcare in queste terre alla conquista di questi 2000 nel mese di Maggio. Le condizioni meteo non mutano, sono state ottimali e per tutta la giornata si mantengono tali, ci aiutano ad impigrirci in vetta a stazionare più del dovuto; forse in cuore nostro sentiamo già quel pizzico di nostalgia per dover intraprendere il viaggio di ritorno. Che riprendiamo traversando un canale obliquo, ampio, che si incunea dolcemente verso i Piani del Pollino. La neve affonda, ma la pendenza favorisce una passo veloce; altri scorci unici impediscono di mantenere la promessa di smettere di fare foto; non siamo ancora sazi, continuiamo ad attardarci. Guadagniamo il piano sotto un sole quasi a picco, la neve non tiene più, le distanze sembrano brevi ma i contorni dell’orizzonte non si avvicinano; le ciaspole tornano utili a questo punto, non rendendo vano il sacrificio di averle fatte gravare sulle nostre spalle fino a quel punto. Riprendiamo a viaggiare veloci attraversando il piano. Ora siamo al centro di quelle montagne, piccoli in un mare di neve, alla ricerca del sentiero, della strada carrabile che ricordiamo aver percorso il Luglio precedente ma che la coltre nevosa rende impossibile localizzare. Decidiamo allora di cercare il varco nel bosco, un varco tale che giustifichi almeno l’esistenza di un percorso carrabile; incredibile come sia difficile individuare in inverno ciò che in estate è presenza evidentissima. Alla fine ce la facciamo, con difficoltà perché veniamo traditi dai tanti alberi caduti sotto il peso della neve, ma indiscutibilmente siamo sulla traccia della carrareccia percorsa l’estate precedente. E’ facile inoltrarsi con le ciaspole mentre diventano fastidiose quando si tratta di scavalcare gli alberi di traverso. Siamo all’interno del bosco che lascia intravedere la sagoma del Pollino e quella della Serra del Prete; sotto scorre il torrente che la mattina in alcuni tratti ricordiamo di aver attraversato. Il sentiero diventa familiare più in basso, dove si trova la deviazione per il piano Gaudolino e ancora di più quando raggiungiamo di nuovo la radura di Rummo; ora il sole invade la radura, il torrente con ampie svolte lo percorre silenzioso, è indubbiamente un altro bel dono che quell’angolo di paradiso ci vuole regalare prima della dipartita. E poi di nuovo le acque limacciose di fusione e ancora l’ampio piano Vacquarro. Sappiamo che ciò che ci resta davanti è un lungo e lento costante pendio fino al Colle dell’Impiso che vorremmo evitare volentieri ma che percorriamo d’un soffio con passo lento e costante, in un silenzio assoluto. Intuiamo che è già tempo di ricordi e di nostalgia, le immagini dei Pini Loricati non intendono abbandonarci. Abbiamo raccolto molto più di quanto le migliori aspettative potessero farci sperare! Ci aspetta un lungo rientro a Roma ma né io né Giorgio siamo spaventati. Ci sentiamo pieni e gratificati da ciò che ancora una volta, e per me più della volta precedente, il Pollino ci ha saputo regalare. Sulla via del ritorno Giorgio ha lanciato la proposta di tornare per visitare le Gole del Raganello; perché no, aggiungo io, non tornare sulle Serre di Crispo e delle Ciavole per cercare di regalarci i Pini Loricati ammantati di neve? Stregati dal Pollino!

Informazioni riassuntive dell’escursione:
• Provenendo da Nord, uscita autostradale Lauria Sud, prendere la SP19 per Castelluccio Inferiore e da qui dirigersi verso Rotonda e quindi verso il rifugio Fasanelli. Continuare per il Piano Ruggio e successivamente verso il Colle dell’Impiso; parcheggio e inizio del sentiero, 1560 mt.
• Punto più alto del percorso: Serra delle Ciavole , 2130 mt
• Km percorsi circa 11
• Dislivello totale di circa 900 mt